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I nostri musei - Casa Boccaccio
La vita di Boccaccio

Giovanni nacque nel 1313, probabilmente a Certaldo o a Firenze. Suo padre, Boccaccio di Chiellino, proveniva da una famiglia di agricoltori certaldesi, ma si era dato alla mercanzia e, dal 1312, si era trasferito a Firenze. Giovanni, figlio illegittimo trascorre la sua fanciullezza in casa del padre, nel quartiere di San Pier Maggiore. Fin da bambino egli sente un prepotente amore per la poesia, infatti, compone i primi versi all’età di sette anni. Ma il padre voleva indirizzare Giovanni alla mercatura e per imparare quest’arte, nel 1327, il ragazzo viene indirizzato a Napoli, allora governata degli Angiò. Questo evento inaugura “l’età dell’oro” della vita del Boccaccio che, nell’atmosfera della corte angioina, trova la sua dimensione ideale. Sfruttando le ricche biblioteche della corte di re Roberto, intraprende da autodidatta lo studio del mondo classico.
Dopo sei anni spesi inutilmente il padre si convince a accordargli il permesso allo studio canonico, anche se egli si sente portato per la poesia. Ma dato che la sorveglianza del padre non era poi troppo restrittiva, Giovanni seguì le proprie inclinazioni e li cercò la compagnia dei dotti che frequentavano allora la corte di Roberto Angiò. Le sue giornate non erano occupate solo dagli studi, egli amava partecipava alle feste e alle riunioni, e forse proprio così ebbe modo di farsi una profonda conoscenza del mondo e dei libri che lo coprono. In questi anni compose Caccia di Diana, poemetto in terza rima che descrive una partita di caccia guidata dalla dea, con forti reminiscenze virgiliane. Nel 1335 mette mano al Filostrato (“Vinto d’amore”) un poemetto in ottava rima sul tema dell’amore. L’anno seguente si volge alla prosa con il Filocolo (“Fatica d’amore”), opera in cinque libri in cui si narra la travagliata storia di Florio e Biancofiore che vivono una serie di disavventure e inganni prima di coronare definitivamente il loro amore. Nel 1339 compone un terzo poemetto, la Teseida delle nozze d’Emilia, ancora una volta di argomento amoroso e mitologico.
A Napoli Giovanni incontrò Fiammetta, il suo più grande amore, al quale dedicò tutte le opere del periodo napoletano ricordandola, benché da lei abbandonato, anche nel Decameron.
Nel 1340 Giovanni fu richiamato a Firenze dal padre, in seguito e gravi dissesti finanziari. Negli anni successivi egli non rimase sempre nella sua città, ma viaggiò in ogni parte d’Italia. A questi anni risale la fine della produzione Rime sparse (sonetti, madrigali) e le opere minori la Commedia delle ninfe, L’amorosa visione, di evidente ispirazione dantesca con al centro della narrazione Fiammetta, e Elegia di madonna fiammetta. L’ultima sua opera narrativa è del 1344, il Ninfale fiesolano.
Nel 1350, in una delle missioni per la repubblica fiorentina, conosce di persona Francesco Petrarca, col quale accomunato dall’amore per la poesia e per gli studi classici, stringe una grande e devota amicizia che rimarrà immutata fino alla morte dell’amico e maestro. L’incontro con il Petrarca stimolerà tutta la produzione delle opere di Boccaccio.
Molti altri sono i luoghi visitati dal nostro nel quale ricevette incarichi di lavoro: a Ravenna, a Napoli, all’Abbazia di Cassino, infine a Milano. L’ultima sua missione fu nel 1367 alla corte del papa urbano Vo, per porgergli l’omaggio dei fiorentini. Nel 1373 fu incaricato dal comune di Firenze di onorare Dante, iniziando una pubblica lettura della divina commedia nella chiesa della Badia. Interruppe il lavoro al canto diciassettesimo, logorato dagli acciacchi della vecchiaia. Nei primi mesi del 1374 tornò a Certaldo, dove lo colse la morte il 21 dicembre 1375, lasciando incompiuto il De genealogiis deorum gentilium, estremo omaggio agli antichi tanto amati. Lasciò la sua ricca biblioteca a Fra Martino da Signa. Essa andò più tardi dispersa, come del resto le sue ossa, anche se sappiamo che fu sepolto nella chiesa di Santi Jacopo e Filippo a Certaldo. Per la sua tomba egli stesso aveva preparato l’epitaffio in latino che si conclude con queste parole: “studium fuit alma poesis”, “la mia passione fu l’alma poesia”.

La casa 
La casa mostrata nelle foto è quella in cui Giovanni trascorse gli ultimi anni. Essa fu restaurata il secolo scorso dalla marchesa Carlotta Lenzoni dei Medici che la dotò di arredi. Con testamento del 1 dicembre 1839, la marchesa Lenzoni cedette la sua casa allo stato, disponendo che il lascito avesse effetto solo dopo l’estinzione della discendenza maschile. Nel 1957 la fondazione Ente Nazionale Boccaccio prende la gestione della casa. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio crollò colpito da una bomba, ma dopo il conflitto fu ricostruito abbastanza fedelmente. Nel settembre del 2005 la casa è stata costretta ad affrontare nuovi lavori di manutenzione straordinaria e di risanamento è stata riaperta al pubblico nell’ottobre del 2007, allo stato attuale di come la vedete.
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